Guerra Ucraina
Zelensky e la settimana della diplomazia per una “pace giusta”. Ora servono più armi contro la Russia
Londra, Parigi, Roma, Berlino. Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky quello di questa settimana è un vero tour de force diplomatico, che per quanto riguarda l’Italia ha un duplice valore, visto che prima è stato programmato l’incontro di ieri con la premier Giorgia Meloni e oggi quello con Papa Francesco in Vaticano. Un viaggio tra le principali capitali europee con lo scopo di non far dimenticare al Vecchio Continente la guerra che dal febbraio del 2022 sconvolge Kiev.
Il punto
Zelensky sa che questo è un momento cruciale per la sua agenda estera. La situazione sul campo di battaglia è difficile, con le forze russe che non mollano sul fronte orientale e aumentano la loro pressione per riuscire a conquistare più villaggi possibile nel Donbass. E mentre le forze di Mosca marciano in direzione di Pokrovsk, le forze ucraine continuano a chiedere quello che ormai è la costante di tutte le richieste di Kiev agli alleati: più armi, più sistemi per la difesa aerea e soprattutto l’autorizzazione a utilizzare le armi a lungo raggio fabbricate in Occidente, anche per colpire all’interno della Federazione Russa. Richieste chiare, che Zelensky pone da tempo agli alleati. Ma le discussioni nell’Alleanza atlantica non si sono mai fermate, complici i dubbi di molti paesi membri riguardo le implicazioni politiche di questo semaforo verde e l’efficacia sul campo di battaglia. Effetti che per molti sarebbero ridotti, o comunque troppo pochi rispetto ai rischi di un’eventuale reazione del Cremlino e al potenziale allargamento del conflitto anche tra Russia e Nato.
Tensione massima
Superare queste ultime cosiddette linee rosse è essenziale per Zelensky che – dopo la decisione di invadere l’oblast di Kursk ad agosto – ha fatto capire che le sue truppe, per quanto provate da anni di resistenza e da un reclutamento via via più ridotto, possono ancora colpire nel cuore della Federazione così come fanno le forze aeree con i droni. Ieri mattina l’esercito russo aveva detto che la sua contraerea aveva “distrutto e intercettato 92 droni aerei ucraini”, di cui 47 nella regione di Krasnodar, nel sud-ovest del paese, e 12 proprio nella regione di Kursk. Altri 15 droni sono stati intercettati sul Mar d’Azov, mentre diversi velivoli sono stati abbattuti negli oblast Rostov, Bryansk, Belgorod, nella penisola di Crimea e nell’area di Voronezh. E il segnale lanciato da Kiev è che – a determinate condizioni – le sue forze potrebbero colpire in maniera ancora più pesante le truppe e il territorio russo, cercando così di alleggerire il fronte orientale e la controffensiva di Mosca nel Kursk, dove l’Armata vorrebbe concludere la riconquista entro questo mese (almeno nelle più rosee previsioni di Vladimir Putin).
La pace giusta
Zelensky è convinto che sia possibile cambiare gli equilibri, anche per evitare di arrivare al negoziato con un fronte orientale indebolito e con l’operazione dentro la Federazione russa che rischia di vacillare. È anche per questo che il presidente ucraino è in Europa. Perché – nonostante la cancellazione del vertice nella base tedesca di Ramstein – il leader del paese invaso sa che è necessario tenere alta l’attenzione e convincere i suoi partner che non è possibile, in questo momento, arrivare a un’intesa con il Cremlino. Lo ha confermato lo stesso Zelensky parlando ieri a Parigi al termine dell’incontro con Emmanuel Macron, quando ha detto che il cessate il fuoco “non è un argomento delle nostre discussioni”. “Non abbiamo parlato di un cessate il fuoco”, ha ribadito il capo dello Stato, che ha invece sottolineato di nuovo la necessità di ricevere più aiuti possibili prima che arrivi l’inverno. Una stagione che si preannuncia durissima per la popolazione ucraina, non solo per le privazioni della guerra ma anche per le conseguenze dei bombardamenti russi su larga parte delle centrali elettriche del paese. Il pericolo di un inverno al buio e al gelo è estremamente elevato. E, nonostante l’impegno promesso anche dall’Unione europea per aiutare Kiev su questo tema, Zelensky e il suo governo sanno che l’attenzione deve essere massima.
Ne ha parlato con Macron, così come a Londra ne ha discusso con il primo ministro Keir Starmer e il nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, con i quali ha parlato anche di “integrazione euro-atlantica e rafforzamento militare dell’Ucraina”. “Questi sono i passi che creeranno le migliori condizioni per ripristinare una pace giusta”, ha detto il presidente ucraino su X. Ma sull’integrazione nell’Alleanza e le discussioni riguardo l’eventuale ingresso di Kiev è arrivato un nuovo durissimo commento da parte dell’Ungheria di Viktor Orbán. Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, a margine del Forum internazionale sul gas di San Pietroburgo, ha detto che “se l’Ucraina venisse accettata come membro della Nato nelle attuali circostanze, significherebbe lo scoppio di una Terza guerra mondiale”. E queste parole confermano che in ambito Nato e Ue il dibattito rischia di farsi sempre più acceso.
Da Bruxelles, però, su Kiev non c’è alcuna marcia indietro. Rutte, che pure ha ammesso che la Russia – al netto delle perdite – sta avanzando sul fronte orientale dell’Ucraina, ha ribadito l’impegno ad aiutare politicamente e militarmente il paese. E i documenti trapelati dai media tedeschi hanno lanciato un segnale cristallino sull’attenzione della Nato riguardo il fianco est, visto che si parla di un aumento di 49 brigate “combat ready” entro il 2031. In sostanza, 150mila uomini in più pronti a essere schierati in caso di necessità.
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Guerra Ucraina
Netanyahu tra solidarietà di Trump e l’avvicinamento a Putin: Russia arbitro Medio Oriente, l’idea che piace a Donald
Tutti gli israeliani dicono di sentirsi oltraggiati e abbandonati per la sciagurata emissione del mandato di cattura della Suprema corte dell’Aja contro Bibi Netanyahu, trattato allo stesso livello dei terroristi di Hamas. E per la scarsa solidarietà internazionale nei confronti Israele. Lo sdegno è unanime, e persino più clamoroso quello degli avversari politici del primo ministro. Si può dire che sul piano interno, mai come in questo momento Netanyahu è stato tanto forte, benché sia costretto a presentarsi in aula per il processo in cui è accusato di corruzione. Ma Israele, in questo momento, incassa quanto di più solido possa avere: la solidarietà totale di Donald Trump, il più potente alleato dello Stato ebraico come è mostrato anche dai murales fotografici a Tel Aviv in cui sul volto del Presidente americano eletto si leggono le parole “Trump, fai tornare Israele di nuovo grande”, ispirate al motto Maga.
Mentre il mondo aspetta l’insediamento di Trump, il presidente ancora in carica, Joe Biden, tenta di governare la politica estera degli Stati Uniti (per quanto riguarda il Medio Oriente) sulla stessa linea del suo successore (e predecessore): ha posto il veto alla proposta di risoluzione dell’Onu che ordina una cessazione del fuoco a Gaza, ma senza condizionarla al rilascio degli ostaggi ancora in vita. Una tale proposta è stata considerata inaccettabile da quasi tutte le democrazie del mondo e Biden ha poi dichiarato nullo e inefficace negli Stati Uniti il mandato di cattura emesso dalla Suprema corte dell’Aja, il braccio giudiziario dell’Onu, che ha già emesso un mandato di cattura per Vladimir Putin accusato di aver fatto deportare in Russia migliaia di bambini ucraini strappati alle loro famiglie dopo l’inizio dell’invasione. I Paesi che avevano proposto la risoluzione che ordinava l’immediata cessazione dei combattimenti senza fare alcun accenno alla sorte degli ostaggi ancora in vita sono dieci e il loro documento è stato bloccato dal rappresentante americano all’Onu usando il diritto di veto riservato ai Paesi vittoriosi nella Seconda guerra mondiale. Anche Biden è d’accordo: i mandati di cattura emessi dall’Alta Corte dell’Aja non hanno alcun valore sul suolo americano nel programma repubblicano la diffidenza nei confronti dell’Onu è dichiarata.
Nel frattempo, Trump ha rilasciato una lunga dichiarazione in video del tutto inusuale e decisamente antirusso. Affermando che sotto la sua amministrazione “gli Stati Uniti proteggeranno tutti i loro alleati (senza nominarli ma riferendosi all’Europa) minacciati dai lanci di qualsiasi tipo di missile a corta o lunga gittata. E ha aggiunto che gli Usa non permetteranno ad alcuno di intimidire Paesi alleati e indipendenti. Si tratta di un vero capovolgimento della sua dottrina anti-Nato che minacciava l’abbandono degli alleati che non spendono abbastanza nella difesa.
Il suo discorso è arrivato a poche ore dal lancio di un nuovo missile russo: un missile sperimentale a testata multipla, creato per far partire un ventaglio di diverse testate nucleari. Il missile che è stato usato era armato con esplosivi convenzionali, ma la sua specificità – medio raggio per bersagli multipli – sta nel messaggio implicito: siamo pronti ad usare questo prototipo come vettore nucleare. Per rafforzare il significato, il ministero della Difesa russo ha an nunciato il suo lancio al Pentagono americano trenta minuti prima. L’uso di questa nuova arma assume un significato sinistro se si considera che viene subito dopo la diffusione della cosiddetta dottrina miliare atomica russa secondo la quale il Cremlino considera suo diritto lanciare atomiche contro i Paesi che possiedono armi nucleari e che armano l’Ucraina con missili convenzionali a lunga gittata. Per ora i Paesi che hanno fornito missili a lungo raggio all’Ucraina (che li ha subito usati) sono gli Stati Uniti e il Regno Unito.
Ma ecco una seconda sorpresa che riguarda la politica estera di Trump. Ne dà notizia principalmente il Wall Street Journal, ma non solo. La premessa che è sfuggita per lo più a tutti è che Israele ha ripreso i rapporti con la Russia di Putin, dopo lo sdegno per la solidarietà del presidente russo nei confronti di Hamas i cui capi furono ricevuti al Cremlino con tutti gli onori dopo i crimini del 7 ottobre 2023. La Russia ha rilanciato il suo rapporto riservato se non segreto con Israele. In questi anni la Russia, più ancora dell’Iran, ha rifornito il movimento sciita di Hezbollah con armi di alta qualità da usare contro Israele. Israele è stata informata sia dagli americani che dagli stessi russi che hanno aperto un tavolo di trattative con Israele (di cui è ben a conoscenza Trump, come la Casa Bianca e il dipartimento di Stato) per trovare una soluzione che chiuda le due guerre – Ucraina e Medio Oriente – concedendo qualcosa alla Russia in cambio di una certa flessibilità con Kiev.
L’idea, caldeggiata da Trump e con il consenso di Israele, sarebbe quella di concedere alla Russia un ruolo di arbitrato e di influenza sul Medio Oriente, un’area dalla quale gli Stati Uniti vogliono ritirarsi salvo mantenere una presenza militare che garantisca Israele. Israele sarebbe sollevata dall’incubo degli Hezbollah che lascerebbero il Libano e potrebbe dare inizio con l’Arabia Saudita al famoso “Accordio di Abramo” per un rinascimento tecnologico e commerciale in tutto il Medio Oriente, relegando ai margini il regime di Teheran che in questo momento è sotto sorveglianza internazionale per aver violato gli accordi sull’uranio arricchito.
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Guerra Ucraina
Escalation coreana: “Truppe al fronte”
Diecimila soldati di Kim pronti a combattere. Putin ringrazia con petrolio, orsi e un leone
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