Guerra Ucraina
Putin lascia l’Ucraina al buio e minaccia l’uso del missile Oreshnik. Gli attacchi intensificati per chiudere la partita
L’Ucraina è al buio. Gli ultimi pesanti raid russi, con una combinazione letale di cento missili e 90 droni, hanno messo al tappeto la rete energetica di diverse regioni del Paese, lasciando un milione di cittadini senza corrente elettrica, di cui la metà solo nell’area di Leopoli. Un incubo per la popolazione ucraina, che, con l’arrivo dell’inverno, vede come sempre più concreto lo scenario di una stagione gelida e senza la possibilità di condurre una vita normale. Perché la normalità, ora, rischia di essere fatta di continui blackout, che possono diventare un’arma molto insidiosa per piegare la volontà di Volodymyr Zelensky (che ieri ha ricordato la necessità di nuovi sistemi per la difesa aerea), ma anche per fiaccare la resistenza di una popolazione stremata da più di mille giorni di guerra. Vladimir Putin lo sa bene.
I raid
Il Presidente russo non ha mai fermato i raid contro le infrastrutture energetiche dell’Ucraina, nonostante ci siano stati anche dei tentativi della diplomazia di mediare tra Kiev e Mosca almeno un accordo per evitare di colpire le centrali elettriche e i siti vitali per il fabbisogno della popolazione. Un’intesa che avrebbe dovuto anche bloccare gli attacchi ucraini contro i depositi di carburante e le raffinerie in Russia, ma che non sembra avere mai fatto breccia nella mente dello “zar”, impegnato a velocizzare i piani di guerra per chiudere la partita in posizione di vantaggio.
Il summit
Un obiettivo che il capo del Cremlino non ha nascosto nemmeno ieri parlando in Kazakistan al vertice della Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva. Un summit in cui Putin è tornato su quello che ormai è diventato l’argomento preferito dei suoi discorsi pubblici: il missile Oreshnik. L’arma – testata per la prima volta sul campo di battaglia ucraino nell’ormai famigerato raid su Dnipro – è considerata ormai essenziale nella propaganda di Mosca, che la utilizza come un avvertimento continuo nei confronti di Kiev ma anche del blocco occidentale. “Nessuno ha le armi della Russia. Un attacco massiccio con i missili Oreshnik avrà un impatto paragonabile a quello effettuato con un’arma nucleare” ha detto Putin, che ha anche sottolineato come la Russia produca ormai “una quantità di missili dieci volte superiore a quella della Nato” e che “i centri decisionali a Kiev potrebbero diventare un obiettivo”. Di nuovo minacce, quindi, come quelle che riguardo l’ipotesi (del tutto infondata) di un trasferimento di armi nucleari in Ucraina: “In tal caso useremo tutti, e sottolineo tutti, i mezzi a nostra disposizione”.
Il trasferimento di armi in Ucraina
Ma oltre agli avvertimenti, Putin ha fatto anche nuove aperture. In particolare, verso un uomo: Donald Trump. Perché il presidente russo, che già dopo le elezioni Usa si era rivolto al tycoon lodandone il coraggio, ieri ha confermato di considerare The Donald come il suo vero prossimo interlocutore e come colui che potrebbe cambiare le sorti del conflitto. “È una persona intelligente, con molta esperienza. Penso che troverà una soluzione” ha detto Putin. Una scelta di parole non certo casuale, dal momento che il repubblicano ha sempre sostenuto di volere mettere fine alla guerra e di ridurre drasticamente gli aiuti militari a Kiev. E ora che Trump ha scelto il generale in pensione Keith Kellogg come suo inviato per la Russia e l’Ucraina sono molti a chiedersi se il tycoon risponderà alle lusinghe dello zar. Se lo chiede Zelensky e se lo chiede anche l’Europa, dove la Germania ha proposto di schierare i suoi missili Patriot in Polonia.
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Guerra Ucraina
La politica italiana è distratta e nessuno vede più la guerra Ucraina: tutto contro Israele ma il vero criminale è Putin
Quanto vale la vita di un ucraino, al mercato del cinismo politico? Poco, pochissimo. Sicuramente molto meno di quella di un palestinese. Centinaia di migliaia di morti nel cuore dell’Europa – incluse donne e bambini – non smuovono nessuno. Non ci sono manifestazioni, cortei o scuole occupate. E la politica non fa eccezione. Nemmeno quando, ieri, da Mosca è partito l’ordine di annientare la popolazione civile distruggendo simultaneamente le centrali elettriche dell’Ovest ucraino: la paralisi di tutti gli impianti energetici e di riscaldamento – quelli di ospedali, scuole, abitazioni civili – ha messo in ginocchio oltre un milione di persone, nelle giornate in cui l’inverno ucraino picchia più duro.
Il disastro umanitario a poche ore da casa
In una vasta regione ucraina il “buio” riguarda anche le telecomunicazioni, con i cellulari rimasti prima senza ponti di rete, poi senza batteria. Un disastro umanitario a poche ore di macchina da Trieste che però la politica non riesce a vedere. Non considera un problema. Infatti nessuno ieri ha ritenuto di dover manifestare solidarietà a Kiev. Mentre a Strasburgo andava in scena l’ennesima spaccatura, per giunta su un bis in idem già visto. Già, perché mentre ieri veniva messa in votazione la mozione di sostegno alla decisione di Biden di permettere di colpire la Russia sul suo territorio, gli eurodeputati si dividevano – anche all’interno delle stesse delegazioni e degli stessi gruppi – a certificare, per la gioia di Putin, come l’Europa rimanga debole e frammentata. Il bis in idem riporta alla votazione dell’ottobre scorso in particolare sull’uso di missili a lungo raggio e sulla possibilità di colpire in territorio russo. L’attenzione era stata posta dai gruppi che volevano sollevare il caso in chiave anti-Biden. Alla fine, però non hanno avuto successo. Gli emendamenti contro l’uso di armi a lungo raggio non sono passati ed il testo finale è stato supportato da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Pd e dal verde Ignazio Marino. Si sono astenuti invece gli indipendenti del Pd, Marco Tarquinio e Cecilia Strada e i Verdi Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi. Contrari invece al testo la Lega ed il Movimento 5 Stelle.
Quei politici pro Putin
La delegazione di Forza Italia, con l’eccezione del vicepresidente del Ppe Massimiliano Salini, è stata l’unica dei popolari a schierarsi contro la linea del Ppe sul sostegno alla scelta del presidente Joe Biden di permettere all’Ucraina di colpire con i propri missili in Russia. Sul paragrafo 19 della risoluzione pro-Kiev votata dal Parlamento europeo gli eurodeputati forzisti Caterina Chinnici, Salvatore De Meo, Marco Falcone, Giuseppina Princi e Flavio Tosi sono stati gli unici eurodeputati del gruppo a votare conto il sostegno alla decisione del presidente americano. Si è schierato invece in linea con il resto dei popolari l’azzurro Massimiliano Salini. Assenti Letizia Moratti ed il capodelegazione Fulvio Martusciello. Anche nel Pd (ancora con Tarquinio seduto dalla parte opposta alle democrazie atlantiste) le posizioni sono state diverse.
Rimane chiara e netta la Vicepresidente del Parlamento europeo, la dem Pina Picierno. «Ho votato la mozione per il sostegno l’Ucraina nella sua interezza, compreso il sostegno all’utilizzo delle armi a lungo raggio sul territorio russo. Credo che sia necessario, oggi più che mai, non permettere alla Russia di guadagnare tempo e spazio. Per il Cremlino la volontà di negoziato è purtroppo inesistente, ne abbiamo avuto prova anche dopo la sciagurata telefonata tra il Cancelliere Scholz e Putin: la risposta è stata un bombardamento a tappeto contro civili».
Picierno suona la sveglia
Picierno è stata in effetti l’unica esponente del Partito Democratico ad essersi accorta di quel che sta accadendo in Ucraina: «Azioni criminali – segnala – che proseguono senza sosta: stanotte 100, tra missili e droni, hanno colpito i sistemi energetici ucraini con tanto di rivendicazione del presidente russo in conferenza stampa». Tra l’altro ieri ha aggiunto alle sue dichiarazioni di voto una denuncia fuori dai denti (e dal protocollo istituzionale): «È importante sottolineare anche il tentativo del regime putiniano di infiltrarsi tra le cancellerie europee, penso per esempio all’annunciata partecipazione del Premier slovacco Robert Fico alle celebrazioni nella piazza Rossa il prossimo 9 maggio o alle strategie per influenzare il voto Georgia, Moldavia e da ultimo in Romania. L’Europa non può essere una terra di conquista dei regimi illiberali». Tornando in Italia, anche Lorenzo Guerini, Presidente del Copasir, ha stigmatizzato «Un’azione che, nelle scelte del regime di Putin, si mostra sempre più aggressiva ed escalatoria». Da Conte nessuna sorpresa.
Si schiera contro la difesa dell’integrità europea – l’Ucraina è Europa, anche se non ancora Ue – il leader del 5 Stelle ed ex premier. Fu in quella veste che permise l’ingresso a un centinaio di agenti dell’intelligence di Mosca in Italia. «In Europa ci siamo ritrovati sul tavolo una risoluzione per cui gli Stati europei – compresa l’Italia – si impegnano a mandare più armi, missili a lungo raggio e a investire lo 0,25% del Pil (circa 5 miliardi per il nostro Paese) nel sostegno militare in questa guerra. Non solo. Viene anche censurato il Cancelliere tedesco Scholz per la telefonata a Putin; siamo all’assurdo: nessuno deve permettersi di tenere aperto un canale di dialogo con Putin, non sia mai si creassero le premesse per una svolta negoziale», ironizza. Il titolare della Farnesina e leader di Forza Italia ha in parte spiegato perché gli azzurri italiani hanno deciso di votare in difformità dal Ppe. «Le scelte sull’utilizzo delle armi sono sempre bilaterali, non europee. L’Italia ha detto di usarle sempre all’interno del territorio ucraino, non in territorio russo perché non siamo in guerra con la Russia. Ma credo che ci siano anche limiti costituzionali e la nostra posizione rimane immutata».
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Guerra Ucraina
Se questo è un eroe
Non rischiamo, celebrando la guerra, in un capovolgimento spettrale dei sentimenti, di abituarci all’orrore?
Guerra Ucraina
Il caso Netanyahu e la dittatura di Gaza: quel doppiopesismo dei crimini contro l’umanità
La guerra resta la più orribile pulsione umana, ed è sempre sanzione dei fallimenti politici degli Stati. In nessun caso è lecito graduare l’importanza di chi, da innocente, lascia sul campo la vita. Ma se questo è vero, perché si continua con la giustizia selettiva e l’indignazione a geometria variabile? Perché il dolore dei popoli diventa così spesso il pretesto per una ben precisa narrazione ideologica, per cui le morti palestinesi e libanesi si pesano, mentre lo strazio dell’Ucraina non infiamma nessuna piazza, e la resistenza iraniana anima giusto qualche convegno, e così per il calvario dei siriani, dei libici, degli yemeniti, dei coreani del nord, degli eritrei, dei venezuelani?
Perché alla sbarra e nel mirino delle piazze occidentali c’è solo il leader democraticamente eletto di un paese che il 10 ottobre 2023 fu barbaramente aggredito, e non le élites del terrore che si mescolano alla loro gente per poter contare più morti civili, non gli zar che martirizzano un paese vicino per ragioni di potere, non gli ayatollah che perseguitano le donne, i gay e ogni opposizione al loro regime? Perché ormai persino l’Unione europea si accanisce contro un solo bersaglio, accusandolo addirittura di genocidio, e chiude gli occhi su chi le guerre le provoca e intanto stringe il proprio popolo nella morsa della dittatura?
I veri ostaggi della dittatura di Gaza
Sono i tanti perché appesi al nulla di una civiltà in declino perché non crede più in sé stessa, come ha scritto di recente Federico Rampini, come scriveva già tanti anni fa Oriana Fallaci. La lotta ai crimini contro l’umanità sembra diventata solo un’arma politica, una foglia di fico che non riesce a coprire l’asimmetria sia delle pronunce formali sia delle mobilitazioni pubbliche. La kefiah palestinese segue l’epopea delle lotte di liberazione sudamericane, e quindi qualsiasi tagliagole diventa un nuovo Che Guevara. In questo, l’abilità politica dei capi terroristi è stata da sempre quella di far coincidere sé stessi con valori alti e trasversali. La Palestina come luogo dell’anima, quello che non è il Kurdistan, quello che non è il Tibet. Intanto, dal 2006 la dittatura di Gaza tiene in ostaggio il suo stesso popolo, mentre da parte israeliana e occidentale si accumulavano errori e assenza di strategia fino agli esiti di questi tempi.
Il caso Netanyahu
La destra israeliana è stata totalmente al di sotto delle necessità di questa fase storica. Ma il caso Netanyahu resta emblematico, non tanto per ciò che affronta ma per ciò che lascia in sospeso. Una vera giustizia globale non può essere strabica, né una solidarietà autentica può fermarsi ai confini di ciò che in quel momento è popolare o politicamente conveniente. Una giustizia internazionale che va al traino dell’indignazione selettiva e delle piazze ideologiche non sarà mai equa. Sarà solo una forma deteriore di politica, mentre la politica che disegna il futuro sembra morta con Rabin, con Clinton, con Craxi e Khol, cioè con i leader che 30 anni fa avevano un’idea del mondo da costruire sulle macerie del Muro di Berlino.
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